La riflessione che mi è stata chiesta sul tema: “ E’ ancora possibile un Dialogo?” mi ricorda un teatro che negli anni scorsi è stato presentato in diverse parti delle Filippine ed anche a Zamboanga City con un titolo curioso che in italiano suona cosi’: “ PACE DOVE SEI?”
La situazione del mondo oggi, specialmente tra cristiani e musulmani, mi ricorda quel teatro e quella storia drammatica e mi spinge a rimanere qui in Mindanao perchè credo che arriverà in tempi in cui i rapporti tra cristiani e musulmani potranno migliorare ed insieme potremmo costruire la pace futura.
Quando sono arrivato nelle Filippine nel 1977, dopo il Vaticano II, col sogno di fare l’esperianza di quello che allora si chiamavano le “vie nuove” della missione attraverso il dialogo interreligioso, ho capito che queste vie nuove devono passare attraverso il “dialogo dell’Incarnazione”, così come ci ricorda il Sinodo dell’Asia del 2000.
L’esperienza di queste vie nuove per me è iniziata quando sono arrivato nella mia prima missione di Siocon, in Mindanao. Siocon si trova nella parte più a Sud di Mindanao. Allora era una missione grande quanto una diocesi, lungo il mare con una vasta foresta che faceva da cornice a un paesaggio tropicale ed affascinante. La popolazione era sparsa qua e la’ in piccoli village vicino al grosso centro di Siocon. La gente era semplice, povera ed ospitale.
Sono arrivato a Siocon dopo una notte di viaggio con un barcone che da Zamboanga ci ha portato alla missione. Con me c’era anche P. Salvatore Carzedda, PIME. La popolazione era formata da cristiani, musulmani e gruppi tribali. La rivoluzione in corso tra il gruppo di ribelli musulmani del Moro
National Liberation Front (MNLF) e i militari del governo era visibile ed abbiamo visto subito gli effetti di quella rivoluzione incontrando migliaia di rifugiati, molti di loro musulmani concentrati lungo la costa, mentre i tribali vivevano nella foresta sotto la paura dei militari e dei ribelli. I cristiani invece erano presenti in diverse località nelle campagne. Ma anche loro provati dalla violenza e povertà. La presenza dei militari era visibile e spesso c’erano operazioni militari contro i ribelli. Tutto questo avveniva sotto la legge marziale del presidente Marcos che ha usato la rivoluzione del MNLF in Mindanao per le sue ambizioni di dittatore.
In questa situazione ho iniziato il mio “dialogo d’incarnazione”. Prima ho iniziato a stare vicino ai rifugiati, poi in un villaggio di cristiani dando un’attenzione particolare ai gruppi tribali e in un secondo tempo ho deciso di vivere in un villaggio di musulmani lungo la foce di un fiume e la spiaggia del mare. Potrei continuare a raccontare tanti particolari per descrivere come ho vissuto quel tempo nello spirito delle vie nuove della missione. E’ stato per me un tempo di grazia vissuto intensamente con i più poveri in un villaggio abitato da musulmani. Loro mi hanno accolto con amicizia e mi hanno protetto da diversi pericoli e minacce. Questa amicizia con la comunita’ dei musulmani e’ stata l’occasione per accettare la proposta di fare da mediatore per un processo di pace tra MNLF e militari. Questa nuova esperienza mi ha portato a vivere spesso nelle foreste con i ribelli e mantenere i contatti col governo.
In tutte queste fasi della missione ho trovato la forza nella preghiera, nella riflessione e nella vita di tutti i giorni a contatto con la gente. In questo cammino di “conversione interiore” sono stato guidato da una riflessione sul “dialogo” che si è ripresentata alla mente e al cuore come un’ ispirazione che ho formulato con questa espressione: “ IL DIALOGO INIZIA DA DIO E CI RIPORTA A DIO”.
Questa riflessione è diventata il “mandra” della mia spiritualita’ e la ragione per cui ho continuato questa missione di dialogo nonostante le tante difficoltà e minacce. Purtroppo nel 1981 gli attentati e le minacce da parte dei militari si sono moltiplicate al punto che i miei superiori mi hanno chiesto di ritornare in Italia. Per me quello e’ stato il mio primo “esilio” in Italia che però si e’ rivelato provvidenziale perchè ho chiesto ed ottunuto la possibilità di studiare al PISAI ( Pontificio Istituto di Studi Arabi ed Islamistica). E’ stato quello un tempo di riflessione, studio e preghiera che mi ha aiutato tanto quando sono ritornato in missione dopo due anni ed eletto dalla comunita’ come superiore del PIME nelle Filippine. La mia sede era in Zamboanga City perchè allora molti missionari del PIME si trovavano in Mindanao. Oggi Zamboanga ha una popolazione di circa un milione di abitanti con una grossa percentuale di musulmani (40% ), di cattolici (50%) e il 10% di altri gruppi e denominazioni di religioni diverse, compresa una presenza di Buddisti formata da cinesi che vivono a Zamboanga e hanno in mano una parte dell’economia della citta’.
Questa introduzione mi dà la possibilita’ di dire che il Movimento di dialogo Silsilah che ho iniziato nel 1984 a Zamboanga City è frutto di questo cammino con fasi drammatiche, di immersione, di riflessione e di studio convinto che il dialogo tra cristiani e musulmani è possible,ma è un cammino lungo.
Allora non erano molto presenti ancora gli elementi nuovi di tensioni e gli influssi internazionali che adesso emergono in modo molto visibile e allarmante e rendono più difficile il dialogo. Possiamo ricordare l’11 Settembre con l’attacco alle Torri Gemelle, il conflitto in Iraq, in Afganistan,l’inizio del movimento al-Qaida a livello internazionale e in Mindanao il gruppo chiamato Abu Sayyaf, un gruppo di terroristi con legami internazionali. In un tempo più recente possiamo ricordare la guerra in Siria, il conflitto tra Sunni e Shiiti che trovano appoggio nell’Arabia Saudita ( Sunni) e nell’Iran (shiiti) e adesso la presenza dell’ ISIS che è l’espressione più allarmante che certamente sta alla base di tanta paura a livello internazionale e mette in crisi l’Islam come religione e la società nelle varie strutture e piani di sviluppi.
Questo quadro allarmante ci richiama il periodo in cui l’Europa nel corso dei secoli ha vissuto le fasi in cui la violenza, anche nel nome della religione Cattolica e altri gruppi cristiani in generale, era presente e tollerata.
L’ultima fase allarmante e devastante in questo processo di violenza in cui i cristiani sono stati gli attori principali, direttamente o indirettamente, è stata la seconda guerra mondiale che si è conclusa con la grande tragedia dell’olocausto di sei milioni di ebrei sotto il regime di Hitler.
Possiamo dire che adesso sullo scenario internazionale c’è l’Islam con quanti usano questa religione per riaffermare la loro supremazia, anche se la maggioranza dei musulmani non si identificano con questa violenza e soffrono per quello che sta avvenendo nel nome dell’Islam.
C’è da chiedersi a questo punto quale sarà il futuro del dialogo tra Cristianesimo ed Islam? Credo che bisogna mettersi nell’atteggiamento di chi aspetta e continua a sperare in un futuro di pace. Bisogna aspettare e sperare, anche se la “notte è lunga” e le “sentinelle” che devono vigilare spesso sono addormentate, stanche e scoraggiate.
Il Vaticano II, per certi aspetti, ha chiuso un periodo triste in cui la Chiesa spesso non ha dialogato così come era necessario e, in diverse occasioni, ha contribuito a fomentare focolari di guerra. Questa valutazione potrebbe essere sviluppata in tanti aspetti, ma mi dà la possibilità di entrare nel vivo di questa riflessione per dire che questo è un momento particolare della storia quando i cristiani, specialmente i Cattolici che rappresentano la maggioranza dei gruppi cristiani, sono chiamati a riscoprire l’importanza del dialogo interreligioso nello spirito del Vaticano II come un nuovo segno dei tempi. Il dialogo deve essere un’espressione di rispetto e di amore che deve essere fatto anche se altri non sanno o non vogliono dialogare. Anche in questa situazione bisogna rispettare l’altro rimanendo con la nostra dignità e apertura al dialogo. Questo è lo stile di Dio e noi come cristiani siamo chiamati a “ rivisitare”, alla luce del Vangelo, nello spirito del messaggio della “misericordia” che papa Francesco ci ricorda in diversi modi, anche nell’ultima esortazione “Amoris Laetitia”. Subito dopo il Vaticano II noi abbiamo assistito a una fase di ripensamento della missione della Chiesa. Ci sono stati anche quelli che hanno abbandonato la missione o hanno frainteso la missione del dialogo promossa dal Vaticano II. I vari documenti del post Vaticano II hanno ricordato che “il dialogo fa parte integrale della missione della Chiesa”. Tra tutti i documenti certamente l’ enciclica “Ecclesiam Suam” di papa Paolo VI ha dato degli orientamenti chiari e profetici che ancora oggi devono essere approfonditi da molti cristiani nel contesto della situazione attuale.
Circa il dialogo con Islam noi siamo chiamati a fare un cammino di riconciliazione riaffermando unità della famiglia umana, nella diversità che esiste tra cristianesimo e Islam. Credo che bisogna incoraggiare cristiani e musulmani a conoscere meglio la nostra religione e la religione dell’altro, ma non è necessario focalizzare la nostra attenzione su ciò che abbiamo in comune e di diverso nella nostra fede, anche se a livello teologico e di esperti va fatto, piuttosto dobbiamo fare uno sforzo maggiore a riscoprire come nella diversità della fede c’è un’aspirazione comune verso il divino che ci aiuta a riscoprire la spiritualità come punto d’incontro. Nel cuore umano ci sono le stesse aspirazioni fondamentali che ci aiutano a riscoprire come il Dio comune e’ il creatore della grande famiglia umana.
Io credo che l’Islam e il Cristianesimo sono chiamati a ridare al mondo la speranza indicando la centralità di Dio, ma tutto questo sarà possibile se questo cammino viene fatto insieme con tutti coloro che sentono la responsabilità di costruire un mondo migliore e la pace. Tutto questo potrà avvenire se si supera la fase conflittuale in cui ci troviamo per raggiungere una fase in cui le due religioni insieme alle altre potranno tracciare la via della mutua convivenza. In dialogo dobbiamo accettare le differenze e trovare punti d’incontro nei valori che ciascuno vive.
Dobbiamo anche riuscire a vedere la presenza di Dio nell’altro che ha la stessa natura umana e le stesse aspirazioni. Questo ci aiuta a riscoprire la presenza dell’ “anima” e i valori piantati da Dio nel cuore umano, pur nella varietà delle manifestazioni di fede che ogni religione presenta. In particolare dobbiamo accettare che l’Islam e il Cristianesimo sono due religioni diverse anche se l’Islam presenta aspetti simili nella fede, ma in effetti portano a delle differenze profonde. Nonostante questa realtà dobbiamo capire e accettare, nello spirito dell’armonia, questo misterioso piano di Dio e camminare insieme in un dialogo che riconosce gli altri come fratelli e sorelle, create dallo stesso Dio.
Oggi più che mai siamo chiamati ad affermare l’identità cristiana nello spirito della gioia del Vangelo e dell’amore di Dio che si estende a tutta l’umanita’. Un Dio che salva tutti coloro che con cuore sincero lo cercano e lo seguono rispettando le leggi fondamentali dell’etica che è scritta nel cuore di ogni essere umano.
Noi dobbiamo vivere nello spirito del grande mistero di Dio, Uno e Trino, che ha voluto “comunicare” – incontrarsi – dialogare – con le creature che Lui stesso ha creato nel suo misterioso piano di amore. Tutto questo dà luce alla centralità di Cristo nella storia che noi dobbiamo vivere e testimoniare.
Penso che dobbiamo essere convinti che la fede ed i riti spesso dividono cristiani e musulmani, così pure altri gruppi con culture e religioni diverse, ma in una ricerca di Dio, fatta con cuore sincero, c’è da sperare che emerga l’aspirazione comune verso un cammino “spirituale” che ci può aiutare a fare un vero dialogo e scoprire i valori base della vita e le aspirazioni alla felicità che sono nel cuore di ogni essere umano.
Infatti la spiritualità deve essere considerata come il respire dell’anima. La stessa parola “spiritualita’ ” viene dal latino “spirare” e ci ricorda che non possiamo fare a meno di “ respirare” . E’ un bisogno profondo.
Questo bisogno va messo in evidenza ed è quello che il Silsilah ha promosso sin dall’inizio. In questa linea di riflessione ho cercato di approfondire quello che ho capito del “dialogo” stando con la gente. Questa riflessione negli anni di studio al PISAI mi ha anche portato a scoprire il movimeto spirituale dei Sufi nell’Islam, a riscoprire i tanti movimenti spirituali nel cristianesimo e altre religioni e ho deciso di dare al nuovo movimento di dialogo iniziato a Zamboanga City, in Mindanao, il nome di “SILSILAH” . La radice di questa parola è araba e significa “ catena” o “legame”. I Sufi usano questa espressione per
indicare il loro cammino spirituale che porta a Dio. Tornando nelle Filippine a contatto con i musulmani ho riscontrato la stessa radice della parola “Silsilah” anche in alcuni dialetti dei gruppi musulmani in Mindanao. Alcuni gruppi musulmani in Mindanao usano la parola “tarsilah” o “salsilah” per indicare “l’ albero genealogico” di una famiglia . In modo simbolico e spirituale ho pensato che la parola “Silsilah” ci può aiutare a riscoprire le nostre origini comuni e capire che tutti noi formiamo la grande famiglia umana e quindi siamo fratelli e sorelle.
Questa scelta è stata anche una sfida per me in un tempo in cui il dialogo era inteso nelle Filippine solo come “strategia” per raggiungere dei risultati di pace o a livello sociale. Oggi l’aspetto della spiritualità nel cammino del dialogo e del dialogo interreligioso sta emergendo in diverse parti del mondo e anche qui in Mindanao ed è un termine comune che musulmani e cristiani capiscono. Noi diciamo che questa spiritualità per noi deve essere alla base di ogni impegno di dialogo, per cui noi facciamo tante attivita’ anche sociali e di formazione sempre partendo da un cammino spirituale che noi presentiamo come Cultura del Dialogo con Dio, con noi stessi, con gli altri e con la creazione. Guidati da questa riflessione noi presentiamo la Cultura del Dialogo in due fasi fondamentali:
– La trasformazione a livello personale
– La trasformazione a livello sociale che ci dà la possibilità di affrontare i vari problemi insieme, con questo spirito nuovo. In questo modo il “dialogo” diventa per noi un’espressione di amore.
La grande sfida che abbiamo oggi all’interno della Chiesa è quella di capire che la missione del dialogo interreligioso non è quella di fare un “sincretismo” delle religioni, ma di accettare le differenze come un cammino fatto nella storia da parte di diversi gruppi che nella loro ricerca di Dio hanno abbracciato una religione specifica, e quindi anche l’Islam. Ci sono stati tempi nella Chiesa in cui noi eravamo invitati e spesso spinti a fare dei dibattiti per difendere la nostra fede. Fortunatamente questi tempi, in generale, sono finite per i cristiani, almeno per i cattolici, dopo il Vaticano II . Noi siamo chiamati ad avvicinarci alle altre religioni con grande rispetto, “toglindoci i calzari”, convinti che Dio sta lavorando in modo misterioso nel cuore di coloro che seguono religioni diverse con cuore sincero. Nello stesso tempo noi dobbiamo vivere nell’umiltà la gioia del Vangelo e la fede che abbiamo ricevuto e che ci sostiene nella missione di dialogo. Guidati da questa riflessione l’espressione “il dialogo inizia da Dio e ci riporta a Dio” si puo’ tradurre così: “ L’AMORE PARTE DA DIO E CI RIPORTA A DIO”. Quindi il “dialogo deve essere espressione di amore e non di strategia”.
Il vescovo Tudtud, morto in un incidente aereo nel 1986,è stato per diversi anni vescovo di Marawi, una città al centro di Mindanao con il 98% di musulmani. Era un caro amico per me e molti di noi lo considerimo un “profeta del dialogo”. Un giorno, dopo aver presentato il mio piano d’iniziare il movimento di dialogo Silsilah, mi ha detto: “ vai avanti con questa missione, ma ricordati che questo è un dialogo che dura cento anni!”
Il Silsilah iniziato nel 1984 ha già fatto un lungo cammino e c’è ancora tanta strada da fare. Nel 1992 Fr. Salvatore Carzedda del PIME, mio grande amico, che ha lavorato con me alcuni anni al Silsilah, è stato ucciso a Zamboanga durante un nostro corso di dialogo. In quell’occasione ho ricordato quello che il vescovo Tudtud mi ha detto e insieme agli altri del movimento, musulmani e cristiani, abbiamo superato la crisi e messo da parte le tante voci di amici che ci consigliavano di non continuare più il movimento perché chiaramente alcuni gruppi non gradivano il dialogo tra cristiani e musulmani. Insieme, difronte alla bara di P. Salvatore, abbiamo pregato e abbiamo promesso di continuare dicendo insieme: “ padayon!” ( andiamo avanti). Quella è stata la nostra risposta alla domanda: “ E’ ancora possibile il dialogo?”. In quella situazione i miei superiori mi hanno chiesto ancora una volta di ritornare in Italia. Quello è stato il mio secondo “esilio” durato tre anni.
Il Silsilah ha avviato negli anni tanti programmi e attività a tutti i livelli anche tra le comunità più povere, ma è anche presente a livello nazionale e internazionale per comunicare la speranza del dialogo oggi, grazie al quel “ padayon” ( andiamo avanti) che spesso ripetiamo soprattutto adesso perché il cammino di dialogo tra cristiani e musulmani diventa sempre più difficile qui e in tante altre parti del mondo.
Spesso io dico, specialmente ai giovani: “ ho incontrato ribelli pronti a fare grandi sacrifici e anche pronti a morire per la loro ideologia che accetta la violenza, perché noi non abbiamo la stessa determinazione per una missione guidati dall’amore e della fratellanza universale?”
Questo messaggio l’ho ripetuto in diverse occasioni anche negli anni in cui la conferenza episcopale filippina mi ha chiesto di fare da segretario generale della commissione del dialogo interreligioso nelle Filippine.
A chi mi dice: “ come mai nonostante il Silsilah e altri gruppi che promuovono il dialogo non si vedono risultati visibili in Minadano? ”. Io spesso dico: “Senza di noi sarebbe peggio.” Ma mi chiedo anche: “Quanto tempo durera’ questa fase?” Il radicalismo religioso si sta diffondendo nel mondo anche presso altre religioni. Credo che la grande sfida per noi è come far si che le religioni continuano ad essere sorgente di spiritualità nel rispetto degli altri e nel rispetto delle differenze. Per cui la spinta missionaria della Chiesa deve rimanere dando un grande spazio al dialogo dentro e fuori della Chiesa. La missione oggi deve essere un segno nuovo di amore e di speranza per raggiungere tutti come fratelli e sorelle, parte della grande famiglia umana afflitta da divisioni e conflitti.
La Chiesa deve essere oggi come il Buon Samaritano che si ferma per vedere, aiutare e condivediere l’amore che il Cristo Signore ci ha comandato di condividere con tutti. Tutto questo richiede un cammino di conversione che parte dall’interno e si progetta all’esterno per costruire insieme un futuro di speranza.